mercoledì 30 novembre 2011

Serve davvero un nuovo trattato?

Ad un anno dalla scadenza del Protocollo di Kyoto il pianeta ha davvero bisogno di un nuovo trattato globale sulla limitazione delle emissioni?
Se lo domandavano David King e Achim Steiner in un articolo sul Guardian di qualche giorno fa, se lo chiede oggi anche Massimo Gaggi sul Corriere, anche se la sua visione è nettamente più pessimista.
Una riflessione fatta anche dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che in merito alla riduzione delle emissioni di CO2 tempo fa aveva confessato di confidare più in iniziative autonome che in regole imposte. King e Steiner (direttore di UNEP) sostengono che sarà il mondo economico ("i mercati" utilizzando un termine molto di moda) a produrre risultanti concreti per la riduzione del riscaldamento globale. Nel 2010 sono stati investiti 156 miliardi di Euro nel settore delle energie rinnovabili, più di quanto speso per i combustibili fossili. Le imprese hanno già fatto la loro scelta per il futuro. La stessa Cina, che non intende sottoscrivere trattati, investe centinaia di miliardi nell'eolico e nel solare ed ha obiettivi di riduzione delle emissioni per unità di energia prodotta che sono molto più ambiziosi di quelli europei.
Un trattato in realtà è indispensabile, ma non per le grandi economie. Serve a tutelare le piccole nazioni e le categorie più deboli. A garantire supporto a chi non ha risorse proprie sufficienti per investire nel futuro, per superare le emergenze di ogni giorno. Ecco perché eventi come le COP hanno ancora senso e perché le Nazioni Unite, dove il voto di Kiribati vale come quello degli Stati Uniti, devono continuare a guidare questi processi.

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