martedì 4 febbraio 2014

Meno innovazione, più tassazione. E sempre viva la SIAE

Oggi Il Corriere della Sera ritorna sulla questione de "l'equo compenso", ovvero la tassa applicata sui supporti di memoria e di registrazione. Introdotta il 30 dicembre 2010 con un decreto dell'allora ministro della cultura Sandro Bondi, il balzello colpisce qualunque supporto di memoria digitale interno o esterno, dagli hard disk alle schede di memoria flash.
Secondo il Corriere la proposta di aumento dei corrispettivi per "copia privata" portera ad aumenti anche del 500%, a cui va sommata l'IVA al 22%. Tutte le entrate andrebbero alla SIAE, l'ente che tutela il diritto di autore in Italia (a cui io sono iscritto, inter alia). Qui sotto c'è la tabella pubblicata oggi dal Corriere.
La richiesta di aumento da parte della SIAE aleggia dalle prime bozze della legge di stabilità, supportata anche in parlamento. Guido Scorza ne parlava lo scorso dicembre nel suo blog su L'Espresso. Gli aumenti proposti porterebbero nelle casse della SIAE 175-200 milioni di Euro nel 2014, rendendo il "gettito da copia privata" il 30% del totale delle entrate della società, addirittura la metà del totale degli introiti da diritti musicali. Le somme poi sarebbero distribuite secondo i classici, discutibilissimi criteri SIAE tra autori, editori e interpreti. Non un Euro verrebbe destinato all'innovazione tecnologica.
Le obiezioni all'adozione del provvedimento arrivano da tutti i settori, eccetto ovviamente l'enclave degli autori/esecutori. La più sostanziale è che non è lecito tassare supporti informatici utilizzati da aziende e professionisti per il proprio lavoro. Facciamo l'esempio di un fotografo professionista, che avrà archiviato il suo lavoro in decine di hard disk, chiavette USB e schede di memoria. Certamente non utilizzerà questi strumenti per "copie private". Lo stesso vale per gli strumenti di back up delle grandi aziende. Nel mio piccolo io ho sei hard disk esterni: un vecchio 2.5" da 160 Gb, un altro 2.5" da 500 Gb, due 3.5" da 500 Gb e due da 1 Tb. Oltre a decine di chiavette e schede di memoria SD. Su questi non c'è neppure una "copia privata".
Inoltre le cifre proposte non hanno senso. Una chiavetta di memoria flash USB da 64 Gb, che presto sarà lo standard, costerebbe più di un PC, dove lo standard è già oggi un Tb, ovvero 16 volte la capacità della chiavetta.
Il problema è storico e tutto italiano. Come per la RAI il "possesso" di un ricevitore TV obbliga al pagamento del canone, per lo Stato avere un hard disk o una pennetta USB vuol dire scaricare illegalmente canzoni e film. Nel 2012 la RAI aveva spedito lettere minacciose alle aziende e agli studi professionali in cui pretendeva il pagamento del canone per il possesso dei monitor dei PC, poi impugnate e sconfessate. Per gli esattori di stato siamo tutti potenziali criminali, e il sospetto prevale sulla fiducia nei cittadini. Molto triste.
Confidiamo nel buonsenso del ministro Bray, a cui spetta l'ultima parola.


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