martedì 6 giugno 2017

Cibo made in Italy, certificare è complicato

La proposta di un marchio che garantisca il cibo made in Italy gira da tempo, ma realizzarla non è semplice. Se ne occupa un servizio di Reuters che analizza alcuni elementi critici. A cominciare da come distinguere quali alimenti sono veramente made in Italy e quali no. Certo non la ricotta o il parmigiano prodotti in Nuova Zelanda dal colosso caseario Fonterra o il prosecco brasiliano Garibaldi, ma anche i prodotti nazionali a volte sono realizzati in filiere discutibili. Barilla, che è favorevole all'introduzione del marchio, ha 14 fabbriche in Italia e 16 sparse per il mondo. Paolo Barilla ha diciharato che gli stabilimenti all'estero "seguono le regole della qualità italiana". Eataly ha appena aperto un punto vendita a Mosca, il secondo più grande del mondo. Ma l'embargo europeo nei confronti della Russia impedisce l'importazione degli ingredienti, così mozzarella e burrata sono prodotti in loco con il latte russo.
L'idea del governo italiano è quella di introdurre un brand che certifichi i prodotti che hanno avuto l'ultima "trasformazione significativa" in Italia. Quindi dei salumi prodotti da noi con carne importata sarebbero OK, mentre un prosciutto fatto all'estero da un produttore italiano non avrebbe diritto all'etichetta. Questa interpretazione sarebbe in linea con la normativa europea che obbliga a definire l'origine nazionale dei prodotti alimentari, ma non piace ai puristi del made in Italy. Per ora tutto resta in stallo.


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